La rete, libera per sua natura e vocazione, non deve essere mai essere intesa come un mondo a sè: il rischio infatti, è che in uno spazio virtuale i cui confini a volte sono labili trovino spazio comportamenti che hanno ripercussioni sin troppo reali una volta fuoriusciti dallo schermo dei nostri computers.
Questa riflessione, validissima anche per gli adulti, si rivela però estremamente concreta pensando alle azioni dei ragazzi, che sguazzano all’interno della rete con grande disinvoltura. Tale disinvoltura però si tramuta in assenza di autocontrollo nel momento in cui prendono forma fenomeni come quello del sexting.
L’espressione, ancora troppo poco pubblicizzata dai media, è una sintesi tra i termini sex e texting (scrivere, fare uso di testo) e si riferisce all’abitudine di scambio su internet, prevalentemente tra ragazzi e giovani, di foto e video a sfondo erotico – sessuale corredato da commenti più o meno espliciti. Tali immagini, che possono tranquillamente essere realizzate con l’autoscatto di uno smartphone, entrano nel circuito web attraverso i social networks e i canali di chat per poi aggrovigliarsi nei meandri della rete.
A mio parere, non occorre essere psicologi per capire cosa spinga un giovane a questo tipo di condivisione: il compimento di un gesto trasgressivo, l’esibizionismo e la voglia di apparire (non siamo forse nell’era del Grande Fratello? E non mi riferisco al noto reality…), il desiderio di lasciarsi alle spalle timidezze e inibizioni. Ma il pericolo è proprio questo, il fatto che un fenomeno come quello del sexting ci sembri normale e del tutto giustificabile come un banale “errore di gioventù”, anche alla luce di quanto la nostra società ci offre.
E se è vero che “ciò che pubblichiamo in rete diviene poi di proprietà della rete stessa” ci rendiamo ancor più conto di quanto la soglia della nostra sfera più intima si abbassi pericolosamente: una ragazza che invia uno scatto molto provocante ad un suo coetaneo – che sia amico o fidanzato – mediante strumenti di fatto pubblici come il Facebook di turno, affida completamente nelle mani di quest’ultimo ciò che di più personale possiede, e lo fa consapevolmente, spesso senza alcuna forzatura. Da quel momento, una azione che poteva normalmente rimanere circoscritta nell’ambito di una relazione sentimentale viene catapultata in un groviglio di contatti, che possono a loro volta visionare, mostrare apprezzamento con un clic (pensiamo proprio al mi piace di Facebook) o – ancor peggio – a loro volta condividere una foto o un video ampliando in maniera potenzialmente smisurata e difficilmente controllabile il pubblico destinato a recepire quel contenuto.
Non c’è incontro dedicato alla formazione su questi temi che tenga, rivolto a studenti o adulti, se a monte non siamo noi stessi ad educarci ad un nuovo concetto di riservatezza. E non si tratta di essere bacchettoni ma solo di scoprire nuovamente quando sia invece estremamente trasgressivo ritornare a quella stessa discrezione che utilizziamo nella vita reale. A costo di rimetterci in popolarità forse, dal punto di vista di alcuni giovani, che privati del loro hobby potrebbero pensare di veder diminuire il numero dei loro amici “social”.
E, in tutto questo, non ho volutamente citato il pericolo che più che i genitori deve far ragionare un attimo in più gli stessi figli: protetti dalla rete tutti noi possiamo costruirci un alter ego credibile, quello che forse saremmo voluti essere, e non sempre dall’altra parte troveremo ad attenderci l’interlocutore che immaginavamo, lo stesso interlocutore che potrebbe tramutare una foto da noi inviata in uno strumento per far leva sulle nostre debolezze.
Di fronte al sexting però e a suoi derivati non ci si difende con la paura ma con il buon senso e la conoscenza: in fondo, quando camminiamo per la strada la foto dei nostri cari o della persona che amiamo la conserviamo al massimo nel portafoglio o in una zona protetta del cellulare, senza abbandonarla sul marciapiede…a beneficio di tutti.
E, se proprio la frittata nel frattempo è stata fatta, possiamo sempre ricorrere per una segnalazione o per trarci d’impaccio alla professionalità e alla discrezione degli agenti della Polizia Postale, presenti in tutte le regioni d’Italia. Senza sperare però che compiano in ogni circostanza miracoli: il loro è un delicato compito preventivo a tutela dei più deboli anzitutto, rivolto a regolamentare l’uso di internet, che però si pone come uno strumento talmente universale da rendere difficile un capillare contrasto. Di fronte al world wide web che sorvola le nostre teste infatti, anche per soggetti qualificati come i tecnici della Polposte diviene difficile intervenire laddove la ragnatela sia ormai talmente estesa da essere divenuta fuori controllo.
Per una volta dovremmo essere contenti in realtà invece di lamentarci: siamo quindi noi gli unici veri artefici e responsabili dei nostri comportamenti in rete, non dimenticando quanto questi siano reali.
Di virtuale fortunatamente, se sappiamo come comportarci nel rispetto degli altri e di noi stessi, resta solo il pericolo.
Andrea Cartotto
Trainer Andrea